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OLTRE IL VALICO

bosco, bosco pescasseroli

Anemone, il fiore del vento

Non c’era nient’altro se non un groviglio di felci, qualche alberello ossuto e storto, tronchi spezzati e radici morte aggrappate ancora alla terra. Il terreno era spruzzato del collare verde del sottobosco, c’erano un arbusto o due di rosa canina e viburno e un intrico violaceo di more.

La sorprese lì. Fu quando il suo sbuffo distratto s’incanalò nella valle

Era a quei tempi che nascevano nuovi venti di valle; spiravano irrequieti nel parco naturale dei boschi sfregiando montagne e i campi poco più giù. Vento, maestro d'aria, avrebbe offerto anche lì un po’ d'esperienza.

Fu un fremito improvviso. Una strana percezione si impastò alle fibre vegetali del fiore. Acuì il bianco dei suoi petali, poi d’un tratto decisa ne ignorò il pensiero.



Si pose in ascolto. I giovani venti curiosi si placarono ad ascoltare il loro maestro.

Lui parlava e mentre lo faceva scorreva naturale a lei:
“Agitate gli odori interni dei fiori, ricoprite di polvere i passi della volpe, portate a spasso nuvole a forma di drago. Siate lievi e densi, corteggiate le foglie imbarazzate dall’autunno e con fole di meraviglia trascinatele, così per divertire, chissà dove. E quando fa molto freddo e altrove fanno dei fuochi per scaldarsi fate due o tre sbuffi, forse, non di più. Calatevi nei sassi e tra le fatali ombre delle nuvole, muovetele lente con ballo invisibile.”
Fu di lei il tratto più luminoso che lo ferì d’un colpo, un luccichio, come un sorriso che scorse tra le curve dei petali bianchi. D’improvviso desiderò l’Anemone carnoso. Continuò carezzando preciso le sinuosità della valle.
Una passione insanabile pervase il giovane fiore:
“Se potessi insinuarmi tra le braccia vivaci del vento!” pensò.

Le sembrò saggio, formato dagli strati di disillusione posati generazione dopo generazione come sedimenti geologici e nello stesso tempo era un bambino abbandonato al coraggio dell'esistenza.

Si era nutrito di polveri e di orgoglio di impronte e nuvole cancellate. Aveva eco dolce, un suono solitario e preciso come lama. Ognuno di noi dovrebbe avere il proprio suono, lui lo aveva. Fu euforica e viva, o forse più silenziosa e tranquilla. D’un tratto Lui le sbuffò tra i petali delicatamente. Lei si ritrasse al tocco morbido del suo respiro. Tremò.

Due ore volarono e i giovani venti si congedarono presto chi tra i rami, chi ad inseguire un nuovo volo. Il Vento indugiò e iniziò poco a poco una nenia d’aria, come fosse una danza. D'improvviso bloccò lo stelo del fiore con mani invisibili in un abbraccio pieno e corposo; Anemone piegò il calice avvolta da quell'umido calore. Caldi i tepali screziati e lenti i pistilli si agitarono al ritmo di quei tremiti.

Aveva odore di nulla e di tutto assieme. Quel Vento l’aveva fatta schiudere disperatamente e disperate erano le sue carezze d’aria.

Andava assaporato qui e ora senza rimandare, quella passione d’aria aveva un’impercettibile forza nell'assenza totale di materialità. Sapeva di brevità, di instabilità e mentre le muoveva e solleticava i petali uno per uno si investiva del suo odore e lo disperdeva nell’aria in un disordine vorticoso di foglie. Anemone riusciva quasi a sentire nel suo stelo la linfa degli alberi massicci che saliva, saliva fino alla punta estrema. Era una turgida fiumana che si solleva e si spande nella terra. Una nuova primavera le stava schiudendo la corolla, ansimava il Vento. Giunse nel fondo roccioso da cui tutto aveva avuto origine.

Era pura ardente sensualità che la purificava e svegliava. Non era amore ma raffinata passione, non semplice piacere ma stravaganza di sensualità.

Impazziva quel Vento per il tenero Anemone ma così facendo l’avrebbe portata a disperdere precocemente i suoi petali, stette un attimo fermo e poi riprese assediandola tutt’attorno. Voleva carezzarne i segmenti profondi di foglia e per ogni fibra vegetale possederla fin dalla radice. Provava un piacere selvatico al tocco di quel fiore che stordiva il suo spirito smaliziato. Era sapore di luce, morbido, quasi cremoso come una lacrima di sole quando cade. Il bosco guardava distratto a quel moto d’aria attorno al giovane fiore, un mulinello di foglie ne tradiva la presenza. Le felci sollevarono la testa bruna e ricciuta come fossero schiere di giovani serpi con un nuovo segreto da nascondere all’uomo. Le foglie tutt’attorno formarono un lenzuolo di un rosso vivace che sfumò qua e là nelle infinite gradazioni di quella passione.

Così il giovane fiore sperimentò l’amore di Vento. Un attimo, e un attimo dopo ancora.

Fu poi che Lui si andò ritirando poco a poco, il suo spirito la stava abbandonando. E lei lo sapeva. In un frettoloso turbinio di saluti si dileguò consegnandole una tempesta di emozioni invisibili. Lei lo sentì fluire via. Restò ad ascoltare i molti rumori senza suono e gli strani sospiri del bosco anche se sembrava che Vento non ci fosse più. Tutt’attorno si ergevano i grossi faggi, conturbanti e vitali, il bosco era taciturno e intimo nella pioggerellina del crepuscolo, pieno del segreto delle uova che si dischiudono e dei fiori appena nati. In quella luce lieve i pini rilucevano nudi e bui come se si fossero svestiti, e tutto il verde della terra sembrava essersi addormentato.

Lei lo pensò. E poiché la febbre che lo aveva infervorato non si era ancora placata, lui tornò ancora e ancora. Chi ha visto il Vento? Né voi né io. Ma quando gli alberi chinano il capo vuol dire che Vento sta tornando.