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OLTRE IL VALICO

orchidea, natura

Tutto il mio folle amore: inganno di fiore

Le piante amano. Ogni fantasia, ogni problema sessuale è realtà nel mondo delle piante. Quando le piante inventarono il sesso inventarono anche ogni manifestazione di bellezza: colore, forma, tatto, odore e sapore. Le loro imprese sessuali più curiose comportano straordinarie forme di mimesi: riescono a rendersi simili agli insetti o altri esseri viventi su cui fanno affidamento per la fecondazione, mostrandosi dei compagni desiderabili. E l’amante-insetto viene ingannato fino al punto d’avere un rapporto sessuale con una pianta anziché con qualcuno della sua stessa specie.

Le arsure estive avevano perduto la loro torrida prepotenza sotto un sole velato e l’autunno iniziava in un delicato sconforto come se il cielo non volesse sorridere. Una macchia di sole, tra nuvole diverse e sfumate, trottava nel fondo del bosco quando una foia pastosa lo prese; schiacciato lì in aria nel mistero confuso del suo essere. Un’emozione astratta, vissuta negli angoli d’immaginazione e preferita con cura materna. E così tutto ciò che si può sentire, o suppose di poter sentire, gli si strinse intimo addosso. Un principio di voragine si agitò nell’aria; penetrò in quella febbre per sentire davvero la vita. Gli crebbe fede nel pozzo cupo e spaventoso della foresta dal cui fondo vide risplendere il giardino cosciente della carnalità amorosa.

Acceso da feromone di femmina assaporava già la facile sregolatezza di emozioni immediate; seguì cieco un inestricabile balsamo di segnali odorosi, languivano nel fitto del bosco tenendolo sulla corda. Alcuna distrazione gli fu ammessa mentre precipitava in quella pastura, man mano che si accostava altri odori si facevano a lavoro. La testa recitava voce affine al corpo. Pruriti e pulsioni godevano di quel favore. Godeva già la freschezza del fiore vicino, sentendosi chino nelle sue piccole cavità rugose. Capiva bene il suo destino. Lo conosceva perché lo sentiva.

Trovò alla fine spazio la vista, quel ricordo ancestrale nella forma prominente di fiore. Era tutto così, prima che lo vedesse. Anche i colori erano perfetti, ed ecco il labello e il centro carotenoideo. Più lungo, più profondo così da avvolgerlo tutto. La superficie pelosa che brillava in impaziente attesa. Un’orchidea giurata a un particolare tipo di amante. Rimasta aperta settimane, poi mesi, in attesa. Un fiore monofilo.

Voleva giocare con l’orchidea all’amore. Il respiro dimorava fra le labbra di quel fiore, una fenditura di labbra che muta ordinava i suoi spasimi all’ufficio. Le ombre del fogliame si fecero interrotte, il canto degli uccelli tremulo, i fiumi divennero bracci distesi, i pensieri rientrarono stridendo. La bevve con gli occhi nei calici di quell’intricata confusione. Un digesto dei suoi sogni, sgomento dalla tirannia suprema di quelle voglie. Vigore e tenerezza. Bellezza che non infonde pace ma piuttosto forza, e un po’ d’angoscia. Certo infine anche un po’ d’angoscia.

Si calò in picchiata, montandoci sopra, immerso nella calda e bruna morbidezza pelosa. Il contatto caldo di quel corpo molle, fondo, condiscendente lo avvinghiò di fantasie. L’amò così, fin da subito, lungo quel colmo di voglie. Fecero orlo nubi panciute e si levò un dialogo muto di libertà e pazienza. Il cuore gli cadde innanzi in un segreto viavai di emozioni; soave in un avanzo di sole andò muovendo sospiri muti. Mai un insieme di struttura così perfetto da non poterlo essere di più; ah povero l’amante che si rende conto di questo! Raffinatezza ultima, dolcezza massima.

Movimenti brevi e sussultori eppure qualcosa non funzionava. Sentì immediata l’inutilità della vita. Vedere, sentire, odorare, ricordare e poi dimenticare – tutto gli si confuse. Si acquietò, come chi respira un po’meno senza che la malattia sia passata. Possibile quel fiore fosse sterile e lui inopportuno? Fuggire via. Non ancora. Nostalgie di insetto lo mossero a esplorare ancora. Percorse cavità e fessure, in preda al mal d’amore, schiacciato come per caduta o forse solo catturato come Ulisse da Circe. Risalì una stria sottile, i desideri gli si smossero ancora tutti assieme. Si imbevve di polline come una spugna tra fattezze e morbidezze istoriate di fiore. Non valsero cosa alcuna i suoi moti, né dei suoi sospiri fu mossa a pietà l’orchidea. Assaporò l’indistinto piacere del fallimento, l’amore che aveva concepito un errore dei suoi sogni. La tortura del destino. Amaro e noia, e poi disperò un’ultima volta.


Il fiore non dà alcuna soddisfazione solo frustrazione. La natura è spietata e nient’affatto sentimentale. Una volta gravido il fiore smette quasi subito di emanare profumo e presto i suoi petali appassiscono, si accartocciano e cadono. Non si dedica più all’arte della seduzione.